Tagliare l’arrivo dopo 138km, 6 ore e 55 minuti e sprintare per il
1413° posto può avere il sapore della vittoria. Sapevo che la Maratona per un
“ciclista della domenica” come il sottoscritto poteva essere una grande
emozione. Ne ho apprezzato tanti particolari. Oltre all’organizzazione
impeccabile in stile altoatesino e il solito spettacolo di quei monti baciati
da una giornata limpida (e forse anche un po’ troppo calda), mi sono goduto il
silenzio di quelle pedalate, tutti insieme (oltre novemila) a soffrire e allo
stesso tempo gioire di quei momenti, accompagnati dal solo rumore di mozzo e
catena. Ho avuto il piacere di incrociare nomi e cognomi (solo alla Maratona
sono stampati sui pettorali) di tutte le razze, età, nazionalità e velleità
ciclistiche. Ho salutato sul Pordoi il mitico Indurain che con venti chiletti
in più sudava in salita con il figlio diciassettenne, ho rivisto il mio
compagno di allenamenti romagnoli Linus (che ha chiuso il medio con un buon
5.45), ma anche Jarno Trulli, l’intramontabile Maria Canins e alcuni colleghi
della stampa tra i quali Giovanni Bruno di Sky, l’amico Giacovazzo del TG2,
Prandi, Capodacqua e tanti altri ancora. Ho cercato di andare regolare nel
passo, senza mai esagerare: il Giau mi aspettava dopo 100km e cinque passi già
scalati. Quei 28 tornanti al 10% con 30 gradi al sole me li ricorderò a lungo.
Poi il Falzarego che non finiva più, quei 2 km verso l’infinito del Valparola e
il discesone che ho preso “a tutta” per Corvara dove allo sprint con il mio 101
sulle spalle ho scritto la mia piccola pagina di cronista-ciclista-blogger.
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